Il riscaldamento globale sta forzando i tempi della rivisitazione del sistema economico in cui viviamo. Le conseguenze sociali del liberismo sono altrettanto drammatiche e colpiscono moltitudini di persone a favore di pochi potenti straricchi, ma è stata la collera dell’ambiente naturale a farci capire che non possiamo più continuare a vivere immersi nell’attuale consumismo cinico e sfrenato ai danni del pianeta che ci ospita
Ha fatto scalpore il manifesto che 181 tra le principali aziende a stelle e strisce hanno siglato l’estate scorsa come impegno per un “Better capitalism”. L’obiettivo è di spostare il fine delle imprese dal mero profitto a breve termine per gli shareholder alla soddisfazione dei bisogni di tutti gli stakeholder: oltre agli azionisti sono altrettanto importanti i collaboratori e le loro famiglie, l’ambiente, i clienti, i fornitori, la pubblica amministrazione, il territorio locale ecc. Suona strano che il lupo si preoccupi dei diritti dell’agnello, ma di fatto questo è il senso del patto. L’iniziativa è controversa, non ha convinto tutti. Il mio pensiero disincantato è che il lupo talvolta capisce quand’è ora di proteggere la fonte della sua sopravvivenza. E’ forse giunto finalmente il momento in cui lo sviluppo sostenibile riguarda tutti e non solo pochi utopisti? Sarà davvero così quando la politica guiderà la transizione con leggi intelligenti e la fortuna delle imprese e dei loro prodotti saranno determinati da consumatori consapevoli che, scegliendo le aziende più sostenibili, ne decreteranno il successo
Sono sempre stato convinto sull’assurdità dell’attuale sistema economico capitalista che troppo spesso preferisce l’uovo oggi alla gallina domani, ma purtroppo mancano reali alternative percorribili. C’è, però, la possibilità di introdurre delle riforme nelle regole e nelle abitudini atte a evolvere un sistema, senza abbatterlo con una rivoluzione. Il patto dei 181 sembra indicare una strada. Nel frattempo, cosa possiamo fare per mitigare la forza bruta del liberismo economico teorizzato da Milton Friedman? Ho scelto alcuni ambiti, nella speranza che possano essere utili a chi legge, inducendo qualche momento di riflessione sul tema. Alla fin fine si tratta semplicemente di rispetto e di fiducia
Aton è un’azienda di Information Technology e il nostro impatto ambientale è alquanto limitato, ma questo non ci esonera dalle nostre responsabilità verso l’ambiente che ci ospita. Ci possono essere molti modi per contribuire, senza arrivare a posizioni troppo estreme che possono sfiorare l’utopia. Racconto un solo aneddoto: nell’attesa che l’elettrico giunga a maturazione, nel 2014 abbiamo deciso di adottare automobili alimentate a metano. Molti all’inizio sono rimasti sconcertati da questa strana scelta. Bene, a distanza di sei anni sono molto soddisfatto dei risultati ottenuti, le persone si sono velocemente abituate ai piccoli disagi e hanno accettato di buon grado di impegnarsi nell’utilizzo del metano per almeno il 90% delle percorrenze. Le nostre auto fanno circa 800.000 chilometri l’anno, abbiamo quindi immesso nell’aria che tutti noi respiriamo una bella quantità in meno di gas serra, NOx particolato PM ecc. Oltre o questo grande risultato abbiamo risparmiato circa il 55% dei costi per il carburante rispetto al gasolio. L’Italia sta sviluppando capillarmente le rete di distribuzione, le auto stanno migliorando sempre più autonomia e consumi e possono circolare anche in caso di limitazioni al traffico cittadino. Mi chiedo allora, perché non si diffonde maggiormente l’impiego dell’alimentazione a gas naturale? Siamo ancora così strani?
Leggo sui giornali il caso di un imprenditore che assume a tempo indeterminato una collaboratrice precaria rimasta incinta. Sono molto felice di questa storia a lieto fine, ma allo stesso tempo sono basito che un caso simile sia considerato così eccezionale da essere riportato in grande evidenza dai giornali nazionali. Non stiamo parlando di un sacrificio eroico ma della conferma di una collaboratrice brava, che fa bene il suo lavoro. È possibile che nel 2020 la donna sia ancora così discriminata nel mondo del lavoro solo perché potenzialmente mamma? Non ci posso credere, è una vergogna disumana. Penalizzando la fertilità ci mettiamo un piede nella fossa e invecchiamo tristemente nel nostro egoismo. Questo è solo un esempio delle storture radicate nell’imperante becero capitalismo che vanno cancellate al più presto.
Il 45% degli atonpeople sono femmine e nel 2019 abbiamo avuto la fortuna di vivere la nascita di ben sette bambini. Molte donne praticano lo Smartworking, una decina lavorano part time (dove possibile), varie altre inizieranno a farlo nel 2020. Non siamo forse in grado di far fronte alle assenze? Considero la genitorialità come il momento più alto delle nostre esistenze, un passaggio che ci arricchisce, completa e matura anche al lavoro. A mio avviso avere dei figli a carico rende più responsabili e affidabili. Pensiamo poi che ogni cambiamento è un esercizio che allena. Il ritorno al lavoro dopo una lunga assenza può essere l’opportunità per rilanciare un nuovo rapporto tra impresa e lavoratrice, un nuovo migliore modo di operare insieme rompendo l’abitudine. Credetemi, succede. Non sempre, ma quando succede è tanto bello
Siamo in un momento di totale schizofrenia. Da un lato i guru dell’innovazione e del marketing concordano sull’importanza del Diversity Management: si va dalla Mucca Viola di S. Godin al nordico Karaoke Capitalism, solo per citare un paio di testi che hanno trattato questo tema. Vince chi è diverso, si distingue, è originale. La moda è all’avanguardia in questo senso e compete sull’eccentricità e sull’uscita dagli schemi anche sessuale e di genere, ma il resto del mondo è tutt’ora largamente ancorato a principi di ottusa omologazione e rifiuto del diverso. Molta politica purtroppo soffia sul fuoco dell’egoismo suprematista e l’ignoranza sociale spinge all’emarginazione di chi non è bianco, eterosessuale, cattolico, benestante e magari anche solo parli un dialetto diverso. Mi sembra pleonastico affermare che se una persona vale non dipende certo dal colore della sua pelle, dalla religione in cui crede o dai suoi orientamenti sessuali. Anzi, talvolta il contributo di valori ed esperienze radicalmente diversi apre le menti, serve da stimolo e confronto. Purtroppo i sacrifici di Martin Luther King, Gandhi, Mandela sembra non abbiano ancora influenzato a sufficienza i valori che guidano molte aziende e un gretto modo di pensare ancora troppo diffuso tra la gente. In Aton le persone, tutte le persone, sono sempre state al centro. Lo abbiamo definito nella nostra Mission di Corporate Social Responsability già vent’anni fa, con una certa pionieristica lungimiranza.