L’elefante mi guarda con occhio divertito. Sono entrato molto titubante nel fiume, gelido. Poco fa ci avevano detto: “Adesso andate là e lavateli”, riferendosi a due allegri pachidermi che zampottavano già nelle acque “color del tè” (cioè: fango).
E noi siamo andati là, con una bacinella blu puffo in mano, rendendoci conto che era troppo piccola per qualcosa di grande come due automobili una sopra l’altra; e abbiamo cominciato a… boh? Inumidirli di fiume, un po’ alla volta. Chi ben comincia, e tutto quanto.
L’elefante mi guarda con occhio divertito. So già che sono dispettosi, e che hanno senso dell’umorismo: uno mi ha buttato in acqua, in Cambogia, e giuro, l’aveva fatto apposta.
Questo qui, suo pari, si gira, mette sott’acqua la proboscide, poi… mi innaffia dalla testa ai piedi. Solo a me. Il mahout, a due metri, ride asciutto, io… no.
Immagino sia una cosa che fanno con tutti. Cerco di rispondere con la mia patetica bacinella, l’elefante ride (giuro), e… di nuovo. E di nuovo. E di nuovo. L’acqua è fredda e melmosa, e tutto ciò che mi viene da pensare è: cosa ci sarà nella proboscide di un’elefante?
Un altro martedì mattina a Chiang Mai. ☺️
Quattro ore dopo è di nuovo mattina. Sono le 3 del pomeriggio ma sono collegato con l’ufficio, dove sono le 9.
E non riesco proprio ancora ad abituarmici, è strano: anche nella mia testa sono di nuovo le 9! La connessione di cui gode la Thailandia fa sì che i miei colleghi sembrino più vicini di quando lavoro da casa, dalle loro webcam si vede poi il tempo grigio di questo Marzo nel nordest, e niente.
La testa è a casa. Sarà ancora più surreale la sera, con lo scuro fuori dalla mia finestra e la mia mente fissa sulle 3, 4 del pomeriggio. E poi a mezzanotte andrò a letto. E domattina, chissà.
Di sicuro: Thailandia.
Volevo fortissimamente provare questo “famoso” digital nomadism, dopo un anno sabbatico trascorso qui nel sudest asiatico, dopo aver conosciuto tanti francesi, tedeschi, inglesi, cinesi, informatici, insegnanti, “dirigenti di startup” (qualsiasi cosa voglia dire) che viaggiano, ma 8 ore al giorno sono in ufficio, da stanze di hotel, cybercaffè, spazi di coworking. Inseguendo una buona connessione e una nuova avventura, mi pareva.
Per chi come me ama viaggiare, e ama anche il suo lavoro, le domande sono tante:
Non lo posso sapere senza provarci.
Ma come in un rapporto di coppia, a decidere di provarci bisogna essere in due. E così un bel giorno ho preso il coraggio a 4 mani e l’ho chiesto ai miei responsabili, cuore che batteva e tutto.
E badate: lo sapevo già che la mia azienda è meravigliosa sotto questo profilo; i miei colleghi sono coloro che mi hanno detto “fai bene a inseguire i tuoi sogni” quando ho annunciato che mi sarei preso un anno sabbatico; però qui è diverso. Forse stavo davvero tirando troppo la corda…
Mi hanno guardato, con uno sguardo divertito che diceva ecco, ti conosco meglio di te. E poi mi hanno detto: “che bella idea, proviamoci“, con quel “ci” in cui ho sentito tutta la partecipazione…
Caspita. La mia azienda è differente!
Sono uscito dal colloquio felice come una pasqua, ovviamente; e poi la parte più facile: le decisioni.
Thailandia o Giappone? Per il fuso orario, qual è il migliore? OK, Thailandia. Aspetta! Quand’è che cambia l’ora? Il meteo è buono? Ci riusciamo, ad arrivare in un weekend?
Abbiamo scoperto un mondo di remote worker, di recensioni, indicazioni utili, scambio di esperienze; cominciato a scoprire che gli spazi di coworking, che normalmente non si notano, sono dietro ogni angolo, o quasi; e ci siamo preoccupati di cose che mai avremmo pensato: come spostarci da A a B ma in sola mezza giornata, se la pausa pranzo italiana coincide con un orario compatibile con la cena o è tutto chiuso, e poi Internet, la connessione com’è? E nelle isole? E nelle aree rurali? E i cavi sotto il mar Rosso, che son stati tranciati di recente, come influiscono?
Perché avere una risposta così spiazzante, in senso ovviamente positivo, ti responsabilizza: i miei colleghi hanno “sposato” volentieri la mia avventura, ora sta a me fare in modo che non sia, in nessun modo, un problema. In modo che non si senta la mia assenza, che possa essere efficace anche da qui allo stesso modo – o magari un po’ di più.
Sta a me meritarmelo!
Almeno su Internet non dovevo preoccuparmi. Qui, quasi al confine col Myanmar/Birmania, perfino qui, Internet è 3 volte più veloce della mia fibra di casa, il 5G prende anche nella foresta, e le guide mi ridono dietro quando racconto della mia preoccupazione.
E’ la Thailandia, non la provincia veneziana, paiono dire!
Ogni giorno è diverso. La mattina ci spostiamo in bus, prendiamo un aereo, ci buttiamo dalla zipline più lunga dell’Asia, sciacquiamo elefanti, passeggiamo in città piene di cose nuove.
Il pomeriggio e la sera sento clienti, curo i miei sistemi informatici, faccio formazione a colleghi, progetto qualche architettura, correggo bug. A mezzanotte, come per Cenerentola, il computer torna zucca, e mi affretto a letto. E poi si ricomincia.
Sarà per poco tempo, tre settimane sono tante ma anche poche, è il limite che ci siamo dati per questa prima prova, in modo che se anche fosse fallita… non sarebbe stato troppo “pesante”.
Alla faccia del “posto dove i sogni vanno a morire“, come ho sentito descrivere un’azienda una volta…
Non sono certo il primo a scoprire che è la meta ideale, forse la prima al mondo, per il remote working e il digital nomadism; ma dovesse servire, vi riassumo per sommi capi:
È diverso vederla così e non da turista, programmare le tappe giorno per giorno, fermarsi magari in una città 6 giorni invece che 2, viverla…
È diverso, e sì, ne vale la pena!