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Piccolo non è bello

24/08/2020

Per anni si è decantato il modello italiano delle PMI di successo: grandi innovatori, grandi esportatori, locomotive del Bel Paese. “Piccolo è bello”, si diceva, con la speranza che fosse vero. I distretti verticali dovevano compensare il gap dimensionale delle ns imprese grazie alle straordinarie competenze ospitate e coltivate da territori vocati ad attività specialistiche, organizzate per filiere

L’evoluzione dei mercati nel tempo e una serie di crisi stanno dando dei responsi diversi. A mio avviso è evidente che i piccoli rimangono a fare la guerra dei poveri e che i distretti debbono sfociare in qc di più strutturato per poter competere nel mondo globalizzato. In Cadore sono rimasti pochi colossi dell’occhiale che hanno assorbito la maggior parte delle attività imprenditoriali artigianali. A Manzano la selezione e concentrazione è stata ancora più violenta e oggi, tranne poche eccezioni, nella capitale della sedia si respira un vuoto impressionante. Sono solo due esempi, i distretti italiani in sofferenza sono innumerevoli e le prospettive future non sono rosee

Zoomando nel ns settore dell’Information Technology il fenomeno assume caratteristiche al limite del grottesco: oltre al solito tran-tran locale siamo diventati esportatori di talenti e di lavoro conto terzi! Come scrive Enrico Pandian https://wemakemoneynotstartups.substack.com/p/litalia-lindia-europea-ed-unottima le ns Startup sono attraenti per i dollari USA perché abbiamo ottime competenze a basso costo, una specie di nuova India, insomma

Aziende italiane che si fanno valere all’estero nel ns mercato ce ne sono ben poche e sono del tutto marginali. Siamo terra di conquista straniera e la massima ambizione è galleggiare a fatica nel mercato domestico, oppure vendere la propria creatura al capitale straniero, magari come da moda imperante nella forma di una bella idea/Startup costruita ad hoc per speculare e fare cassa prima possibile. I soldi veri li fanno “loro”

Io a questo gioco non ci sto. Se è vero, e ne sono convinto, che i ns sviluppatori software sono mediamente più bravi e competitivi rispetto agli yankee, agli inglesi, ai tedeschi ecc perché non li impieghiamo in modo strategico per arricchire le ns imprese e di conseguenza la ns patria?

L’effetto-Paese (gli italiani sono bravi solo nello stile di vita, ergo nell’IT non li considero nemmeno) e il conseguente effetto-Priming (etichette/profezie autorealizzanti: gli italiani non sono mai esistiti nell’IT, quindi mai esisteranno) ci colpiscono negativamente. In effetti purtroppo dall’Olivetti in poi non siamo più riusciti ad avere un Campione nell’IT, nemmeno nelle nicchie. Lo strapotere dei Big americani è sempre più schiacciante, Apple ad esempio da sola ha superato in questi giorni la capitalizzazione di 2.000 miliardi di USD pari al PIL italiano. Ci sono però mercati che possono essere alla ns portata, se riusciamo a pensare in grande e a mettere da parte l’ego, il localismo, l’utilitarismo, la presunzione di essere i più bravi di tutti nella propria (piccolissima) bolla

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Da tempo sto osservando e lavorando attorno a questo fenomeno per lanciare un progetto che deve essere prima industriale e poi finanziario. Le aziende che ho selezionato e sto seguendo come potenzialmente interessanti per fare squadra nei ns mercati sono almeno una cinquantina. La realtà tipica è centrata sull’imprenditore, con in media una decina di persone, un fatturato attorno al milione di Euro, ottime competenze e talvolta anche dei buoni prodotti. Il problema è che con queste dimensioni si può lavorare bene con clienti PMI vicini a casa ma difficilmente si accede ai grandi deal, se non in sub-appalto dei vari Accenture di turno. Di conseguenza si fa i manovali dell’informatica: i ricavi non decollano, gli investimenti in R&D sono centellinati, le esperienze sono prevalentemente locali, la mentalità rimane provinciale, la struttura e il Brand non crescono, talvolta si soffre per pagare stipendi e fornitori. Si disperdono energie facendo e rifacendo le stesse cose solo perché un cliente lo ha chiesto e a un’opportunità non si dice mai di no, anche se si arriva per ultimi a sviluppare qc che esiste già sul mercato

Questa infografica evidenzia che in veneto, ad esempio, le aziende sotto i 10 addetti danno lavoro al doppio delle aziende sopra i 250 e tra i KIBS (knowledge intensive business services) questa concentrazione sulle microimprese è ancora più spinta

tabella dati occupazione microimprese 2017 veneto

Credo sia giunto il momento di dare una svolta a questo avvilente e paludoso stato di cose. Non ha più senso rimanere ognuno per conto suo a coltivare il proprio orticello. Le piccole aziende assorbono molto tempo e risorse dell’imprenditore per mandare avanti il quotidiano, con i mille problemi derivanti dal fare impresa in Italia. Mettersi insieme significa sfruttare strutture comuni professionali, amministrative, marketing e commerciale, dimensioni e notorietà di un gruppo e sviluppare importanti economie, di scala e di esperienza

La mia aspirazione è di aggregare Aton con altre società compatibili, disponibili a mettere insieme le forze per spingere un progetto ambizioso di valorizzazione delle competenze per diventare una realtà di riferimento nei mercati Retail e Manufacturing. Non ci interessa l’ERP, il ns focus è nei servizi e nelle soluzioni dipartimentali, nel business specialistico, dove si concentra la ns esperienza e il valore competitivo differenziante dei ns clienti. Non guardiamo solo l’Italia, i mercati sono senza confini e il Covid ha aperto una grande opportunità per mettersi insieme, facendo crescere i clienti nel mondo attraverso l’e-commerce e la digitalizzazione dei processi, superando la concorrenza …prima in mischia e poi a campo aperto…

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