Da ormai mezzo lustro si fa un gran parlare di blockchain, una tecnologia che promette di creare un “libro mastro decentralizzato” a garanzia della veridicità di transazioni digitali.
Una volta messa una transazione nella blockchain, infatti, essa viene “firmata” da un network diffuso di “firmatari”, e diventa immutabile; è insomma impossibile modificarla o cancellarla, alterarne i contenuti o i metadati (autore, destinatario, ecc) senza che la cosa venga scoperta. Il fatto poi che i menzionati firmatari non siano un ente centralizzato fa sì che il tutto avvenga in modo robusto, senza che ci si debba fidare di un’azienda (o di un governo) in particolare. Il sistema è affidabile e non manomettibile by design, e qui è la reale rivoluzione.
Le applicazioni di questo concetto sono state finora paradossalmente molte, e molto poche. Di certo è applicabile a tutta una serie di casi in cui è necessario dare certificazione immutabile a una transazione, e sono davvero molti, dalla logistica alla produzione alla contrattualistica. Ma è pur vero che esistono molte tecnologie già affermate che fanno sostanzialmente la stessa cosa; la vera killer application dovrebbe quindi essere qualcosa che ha bisogno di questo, ma anche e soprattutto della garanzia che non ci sia un’“entità superiore” che ha il potere sul dato e che potrebbe volerlo manipolare.
Questa è la vera value proposition della blockchain, quella che la distingue da un database distribuito; ed in questo senso sono abbastanza poche le applicazioni che non possono davvero essere fatte in altro modo – E-Government, contrattualistica internazionale, questo genere di cose.
Dove c’è un confronto con una tecnologia già affermata, la scelta si fa quindi solitamente confusa, anche perché la blockchain si paga: è una tecnologia complessa, di sua natura always-online, lenta e dispendiosa in termini di risorse computazionali proprio per la necessità di garantire in modo forte che tutto funzioni “a puntino”. Quindi, perché adottarla? Questo interrogativo ne ha a nostro parere finora un po’ limitato la diffusione; dopo una serie infinita di piloti e valutazioni, i progetti effettivamente partiti sono ancora pochi, e poco pervasivi.
Stiamo però finalmente arrivando a un punto interessante. Il “prezzo” della blockchain deriva dal fatto che è una tecnologia giovane, e molto complessa: le applicazioni della crittografia che la rendono possibile sono relativamente nuove, non ancora mature, quindi gli spazi di miglioramento ci sono. Questo è esattamente il momento in cui la domanda crescente si comincia a sposare con le possibilità tecniche, quindi i tradizionali svantaggi, di cui abbiamo già parlato, cominciano ad essere sempre meno evidenti, e alcune applicazioni cominciano a diventare plausibili – e vantaggiose.
Vista la nostra stretta collaborazione con importanti aziende del mondo alimentare, la nostra attenzione va al tema della tracciabilità di filiera: un problema reale – quello di rendere evidente e garantire che un prodotto venga da una certa fonte, e abbia passato una serie di controlli, fino ad arrivare alla vendita e alla nostra tavola.