Un paio di mesi fa è uscito un comunicato nel sito americano di GS1 che ha destato la mia attenzione e quella dei miei colleghi.
Mi sono però sorpreso che una notizia del genere, per quanto molto settoriale al mondo retail, non abbia poi suscitato più di tanto scalpore.
Ma veniamo al dunque, raccontando innanzitutto chi è GS1 e chi impatto ha avuto nel mondo.
GS1 è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che sviluppa e gestisce gli standard globali per l’identificazione e la comunicazione dei prodotti nei vari settori economici, tra cui il retail.
Proprio GS1 ha creato il primo barcode nel 1974 e, da allora, ha continuato a innovare e a offrire soluzioni per migliorare l’efficienza, la sicurezza e la sostenibilità delle catene di fornitura.
GS1 conta oltre un milione e mezzo di membri in 150 paesi e collabora con diverse organizzazioni e istituzioni per promuovere la digitalizzazione e l’interoperabilità dei sistemi informativi.
Stiamo dunque parlando di una tecnologia che risale a 50 anni fa e che tutt’ora è alla base della maggior parte dei processi di vendita e logistica in tutto il mondo.
Secondo GS1 è giunto il momento di fare un passo in avanti, e la proposta è la sua più naturale evoluzione. Passare dal barcode 1D a quello 2D.
Serve un aiuto a ricordare la differenza?
I barcode sono codici a barre che permettono di identificare in modo univoco i prodotti e le informazioni ad essi associate.
Esistono due tipi principali di barcode: quelli a una dimensione (1D) e quelli a due dimensioni (2D).
I barcode 1D sono composti da una serie di linee verticali di diversa larghezza che rappresentano una sequenza numerica.
I barcode 2D, invece, sono formati da una matrice di punti o quadrati che possono contenere più dati, come testo, immagini o link. Un esempio di barcode 2D è il QR code, molto diffuso negli ultimi anni. I codici 2D offrono anche molti vantaggi ai consumatori. Scannerizzandone uno sulla confezione di un alimento con il telefono, ad esempio, si ottengono informazioni come gli ingredienti, le ricette in cui può essere utilizzato, i potenziali allergeni e il luogo di coltivazione.
Ma ritorniamo alla notizia principale, ovvero la proposta di GS1 con il progetto SUNRISE 2027 che mira a rendere obbligatorio (per il mercato americano) l’uso dei barcode 2D su tutti i prodotti entro il 2027.
L’obiettivo è di aumentare la quantità e la qualità delle informazioni disponibili sui prodotti, facilitando la tracciabilità, la trasparenza e la personalizzazione dei servizi per i consumatori.
Detto ciò, il passaggio ai barcode 2D richiede una profonda trasformazione tecnologica e culturale da parte dei produttori, dei distributori e dei consumatori stessi, che devono adeguare le loro infrastrutture, i loro processi e le loro abitudini ai nuovi standard. Gli step per raggiungere questo cambiamento di standard sono molti, e saranno graduali, a partire da un periodo di transizione con la convivenza di barcode 1D e 2D nei prodotti per poi passare ai test di compatibilità per i retailer, misurando la loro capacità di adattamento alla nuova tecnologia.
Tanto per essere chiari, i lettori di codice a barre 1D, non leggono quelli 2D. Se invertiamo i fattori invece, il 2D è retrocompatibile.
Oltre al fattore meramente tecnologico, il tema interessante è che siamo all’alba di una nuova transizione tecnologica di massa.
Infatti, il progetto SUNRISE 2027 può essere paragonato ad altri cambiamenti di standard avvenuti nella storia dell’informatica e del mondo consumer, come ad esempio il passaggio dal floppy disk al CD-ROM, dal VHS al DVD, o dal GSM al 5G. Si tratta di evoluzioni che hanno portato a una maggiore capacità di memorizzazione, trasmissione e fruizione dei dati, ma che hanno anche comportato delle sfide tecniche, economiche e sociali per i vari attori coinvolti.
Il successo di questi cambiamenti dipende dalla capacità di anticipare le esigenze del mercato, di coinvolgere gli stakeholder e di gestire le (immancabili) resistenze al cambiamento.